Nel lato paterno, napoletano, della mia famiglia si tramanda da generazioni una ricetta di una salsa di pomodoro tanto semplice quanto gustosa e che in famiglia ha preso il nome di di «maccaronara».
Mia nonna raccontava di averla appresa da sua madre che a sua volta l’aveva appresa dalla propria e via indietro nel tempo fino ad arrivare alla fonte originaria: i maccaronari napoletani i quali, raccontava nonna, con due soldi vendevano in strada un piatto di maccheroni al pomodoro preparati e conditi al momento con la salsa che ininterrottamente bolliva nei tegami (progressivamente alimentati) ed una spolverata di pecorino.
Confesso che pur amando moltissimo mia nonna per anni ho creduto che questo racconto fosse una piccola vanteria di famiglia anche se io stesso ho iniziato a preparare la salsa, fatta rigorosamente con i pomodori freschi, che in effetti dà grande soddisfazione risultando oltretutto digeribilissima visto che non prevede l’aggiunta di grassi se non, appunto, il pecorino.
Con l’avvento della rete ho cercato, vanamente, una qualche corrispondenza, nel nome o negli ingredienti, a quella salsa.
Mi sono imbattuto allora nella maccaronara irpina, che però è una ricetta completamente diversa, mentre la stessa salsa madre di pomodoro, cioè la salsa-base, non corrisponde perfettamente alla ricetta della mia famiglia prevedendo l’aggiunta di olio extravergine di oliva.
Mi ero quindi rassegnato a classificare la ricetta così gelosamente tramandata come uno dei tanti piatti apocrifi, d’incerta datazione, che si conservano nelle famiglie italiane.
Poi un giorno, nel documentare uno dei miei tanti articoli di storia della cucina, mi sono imbattuto in questo brano de «Il ventre di Napoli» di Matilde Serao, il libro-denuncia della scrittrice partenopea che vide la sua prima edizione nel 1884 (quella a mie mani è del 1906): «Appena ha due soldi, il popolo napoletano compra un piatto di maccheroni cotti e conditi; tutte le strade dei quartieri popolari, hanno una di queste osterie che installano all’aria aperta le loro caldaie, dove i maccheroni bollono sempre, i tegami dove bolle il sugo di pomidoro, le montagne di cacio grattato, un cacio piccante che viene da Cotrone».
Potete solo immaginare la mia emozione.
Pur non riportando la ricetta, la Serao infatti riproduce esattamente il racconto di mia nonna: i due soldi del piatto di maccheroni, le caldaie ed i tegami perennemente sui fuochi, il pecorino: perché il «cacio piccante che viene da Cotrone» della Serao non è altro che il pecorino di Crotone (che anticamente e sino al 1928 si chiamava Cotrone) che ora è un prodotto DOP.
Mia nonna aveva ragione ed io (ed i mei familiari) possiamo vantarci di preparare una salsa che ha almeno 150 anni.
Ma se li porta benissimo, vi assicuro.